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Notizie » Alla ricerca dell’arte

Articolo [Riflessioni] 27/11/2020 12:00:00

Un tempo ritrovato prima del ritorno all’inesistenza


Che cosa andiamo cercando nella vita?

Preso atto del fatto che rimangono tuttora un mistero i meccanismi che la innescano, vorrei che vi fermaste pochi attimi a fare risuonare nel profondo della vostra anima il suono della parola vita e, dunque, l’interrogativo circa il suo significato e il suo senso.

Forse, semplicemente, in essa andiamo cercando la felicità: al contempo si tratta di molto e di molto poco, un’ambivalenza che, vorrei far notare, è elemento caratteristico di una qualsiasi opera (azione o lavoro che arrivi alla realizzazione di “qualcosa”) che voglia pregiarsi di essere riconosciuta come opera d’arte, sì perché quell’abbondanza che l’arte ci dona spesso sottende qualcosa di estremamente rarefatto che ci permea, e nell’arte sappiamo bene che cosa cerchiamo: la bellezza, quella sensazione di pienezza e pace che solo la presenza lieve e sincera della verità sa donare al cuore e all’intelligenza. Ecco tutto. Potrebbe essere questo ciò che, molto semplicemente, andiamo cercando nella vita.

Ma cosa è arte? Dove possiamo mai assaggiarne la piacevole sostanza, sostegno necessario alla vita umana stessa, così piena, quest’ultima, di coscienza e di ingegno, che devono essere anch’essi alimentati, e che sa rimanere in ascolto, lo desidera, delle note di una musica la cui orchestra è tuttavia inavvicinabile?

Un’altra domanda, inevitabile nel mare di sofferenza in cui l’umanità sembra costretta a navigare: chi affianca e orienta l’istinto umano alla sopravvivenza, nell’inevitabile tormento della sofferenza e della morte, fino a guidarci in un luogo in cui possiamo respirare l’aria della felicità?

Sono due elementi fondanti dell’agire del nostro spirito: l’arte e la cono-sc(i)enza: la loro dialettica, la loro inevitabile sintesi, ci affiancano e ci smuovono pur nello scempio del particolarismo sfrenato che imperversa nei nostri sistemi educativi, nella nostra sempre più ottusa società dell’informazione che assume individualità a sé stante e non segue di certo l’uomo, la persona, ma il successo, il vitello d’oro dei falsi divi-miti che sempre ci mostra, in modo incessantemente identico: la monotonia più totale invade le nostre case: ignavi e depauperati di “energia curiositiva” lasciamo che le invada il nulla, la miseria del poco e del poco molto in perfetta antitesi con l’arte!
Ma, spente le “televisioni”, intendendo con tale nome tutto ciò che è mediaticamente invadente, e messa a tacere la loro tenace insistenza nell’esercizio della parodia del nulla, dopo un po’ di tempo, necessario a spurgare tutte le “schifezze”, percepiamo qualcosa di unico intorno a noi ma che ha molteplici nomi: si chiama musica, sinfonia della vita, passione, gioia, visi, affetti, arte, bellezza eccetera. Come non essere d’accordo con Proust: Quel che rimprovero ai giornali è di farci prestare attenzione ogni giorno a cose insignificanti, mentre leggiamo tre o quattro volte nella vita i libri dove ci sono le cose essenziali.
Perché non ritrovare ora la gioia del vivere pur nel timore del futuro, allargare la visione sulla storia, sulla bellezza della strada percorsa, sulla grandezza dello spazio cosmico in cui ci è dato di vivere e che ci è dato di poter pensare in tutta la sua estensione, che è l’esistenza stessa e tutto ciò che in essa c’è di felice? Perché non sempre, perché dimenticarsi dell’amore, del bene, dei sorrisi vicini e lontani, perché desiderare il potere (nella sua accezione più negativa), perché odiare?

Ci si domanda forse che cosa abbia a che fare tutto questo con l’arte. L’arte! Chi vive, è inevitabile che viva nel mistero, che per definizione è: Quanto rimane escluso dalle normali possibilità intuitive o conoscitive dell’intelletto umano o ne preclude un orientamento ragionevole, provocando una reazione di incertezza non necessariamente ansiosa né penosa, talvolta non priva di fascino. Ed è altamente probabile che tale situazione ci accompagnerà per sempre: se venisse meno il mistero, il suo fascino, allora sarebbe la morte, quella del nulla e del mai stato, non quella che apre al Paradiso, per chi ci crede, tuttavia neanche lì potrebbe mai venire meno il mistero e quel nostro continuo protenderci in avanti per poterlo vedere-risolvere, per farsi dire da esso stesso quello che manca alla nostra comprensione delle cose. Quello stesso mistero che può essere fonte di timore, di paura: Atteggiamento preoccupato e sospettoso che induce a precauzioni… e ciò va anche bene ma il mistero non può essere fonte di orrore o inferno, in tal caso, se lo diventa, abbiamo forse guardato e ci siamo protesi nella direzione sbagliata intraprendendo la via distorta dell’ego: quella cioè della menzogna, della bruttezza, della pretesa, della vanagloria. Che orrore l’arte per il successo, per avere il potere della “parola”, sempre e solo noi, e dire sempre l’ultima mentre gli altri possono solo commentare ciò che viene loro imposto: l’imposizione, la pretesa di dare la conoscenza, la propria limitata conoscenza. Quanti artisti sono così? Sono artisti? In particolare, sono scrittori? Non abbiamo bisogno di questa arte, la cosa terribile è che ci stiamo invece convincendo che sia arte tutto ciò che scaturisce da bocche e corpi squallidi e impomatati di potere; tutto ciò ci toglie felicità: non ci dà la possibilità di esplorare altre vie, altre conoscenze, altre arti, altre modalità di essere artisti succhiandoci nel girone infernale del conformismo del punto di vista mediatico (e dunque commerciale) come solo e unico garante di cosa sia arte e cosa non lo sia. Orrore.

Ah! un albero: una radice, un tronco, una foglia, quale bellezza nascondono? L’albero sta lì, intero nella sua possenza, nel suo frusciare, se occorre al vento, sempre disponibile; che meravigliosa invidia desta quel sistemare le sue foglie alla persistenza della luce, quel suo sapere affrontare la notte senza attesa del giorno e viceversa. Chi può non credere a un albero, a ogni albero? Quel suo restare conficcato lì a terra e assorbire ciò che passa, ciò che qualcuno o qualcosa porta alla sua fluidità immota. L’albero è lì, fermo, eppure tutto gira intorno a lui: ciò che lo alimenta, ciò che esso stesso alimenta o ristora; l’albero resta, anche quando tutto si allontana.
Noi abbiamo bisogno di alberi, noi abbiamo bisogno di essere alberi, di essere bellezza, imponenza, abbondanza verde o solo rami spogli in attesa, di avere radici per succhiare dalla terra la memoria e di donargliela quando sarà il momento di perdere le nostre foglie. Noi siamo d’accordo con Khalil Gibran: Gli alberi sono liriche che la terra scrive sul cielo. O con Proust che in questa frase sembra quasi descrivere lo stare senza tempo e sempre vigile di un albero dentro di noi: Basta che un rumore, un odore, già uditi o respirati un tempo, lo siano di nuovo, nel passato e insieme nel presente, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l’essenza permanente, e solitamente nascosta, delle cose sia liberata, e il nostro vero io che, talvolta da molto tempo, sembrava morto, anche se non lo era ancora del tutto, si svegli, si animi ricevendo il celeste nutrimento che gli è così recato. Un istante affrancato dall’ordine del tempo ha ricreato in noi, perché lo si avverta, l’uomo affrancato dall’ordine del tempo.
Ecco quello di cui ha bisogno la creazione artistica, di menti altruiste connesse con il cosmo, con l’esperienza del passato, con l’attimo presente, con la visionarietà del futuro, perché ciò che vive nella mente, prima o dopo potrà essere nel reale: quanta realtà è scaturita dalla fantasia degli scienziati, degli artisti, degli scrittori che hanno prefigurato scoperte, invenzioni, conoscenze: quali sono i migliori scienziati se non quelli che sanno abbandonare la logica della consuetudine e uscire dal recinto del già conosciuto per protendersi verso un altrove ancora incompreso… e così non fanno forse anche gli artisti e, in particolare, gli scrittori che lasciano dietro di sé le leggi note del cosmo, o le usano, per crearne di proprie e nuove che un giorno saranno note e frequentate dai molti? E tra i molti ci saranno altri che usciranno da quei nuovi recinti e cercheranno altrove, in tal modo allargando, in profondità, chi qui chi là, i confini della nostra esistenza. Ancora Proust: Possiamo conversare tutta una vita senza fare altro che ripetere indefinitamente il vuoto di un minuto, mentre il cammino del pensiero nel lavoro solitario della creazione artistica avviene nel senso della profondità, la sola direzione che non ci sia preclusa, in cui possiamo progredire, con più fatica, è vero, verso un risultato di verità.

Il cammino è lungo e sul percorso possono balzare fuori e azzannarci la delusione, l’insicurezza, il pensiero dell’essersi sbagliati su tutto, di essersi illusi di possedere qualcosa che invece non possediamo: l’evoluzione della vita può portarci lontani da ciò che eravamo e indurci a pensare che i nostri sogni siano vuoti e inadeguati, facendoci rimbalzare all’infinito dentro “il vuoto di un minuto”; tutto questo negativo può invadere l’animo umano che, a partire dalle proprie visioni esteriori o interiori, cerca di dare forma alla materia della fantasia e del reale, ogni donna o uomo usando le forme espressive-artistiche a lui più congegnali; ancora Proust: Il sole illuminava fino a metà del tronco una fila d’alberi che fiancheggiava i binari. «Alberi, pensai, non avete più niente da dirmi, il mio cuore raggelato non vi sente più. Eppure sono qui in piena natura; ebbene, è con freddezza, è con noia che i miei occhi prendono atto della linea che separa la vostra fronte luminosa dall’ombra del vostro tronco. Se mai ho potuto credermi poeta, adesso so di non esserlo. Forse nella nuova parte della mia vita, così disseccata, che sta per cominciare, gli uomini potrebbero ispirarmi ciò che la natura non mi dice più. Ma gli anni in cui sarei forse stato capace di cantarla non torneranno mai.» […] Se avessi avuto veramente un’anima d’artista, che piacere avrei provato davanti a quella cortina d’alberi illuminata dal sole al tramonto, davanti a quei fiori che dalla scarpata arrivavano fin quasi al predellino del vagone e di cui avrei potuto contare i petali, ma il cui colore mi sarei ben guardato dal descrivere, come avrebbero fatto tanti bravi letterati, perché non si può certo sperare di trasmettere al lettore un piacere che non si è provato.
Grazie Marcel che ci insegni l’essenza della scienza e dell’arte: il dubbio; il dubbio di non avere gli strumenti adeguati per poter esporre le agnizioni, le conoscenze, le intuizioni, le sensazioni che si affastellano dentro il nostro animo, il sacro dubbio di non avere la sensibilità adeguata, di non avere la penna giusta, di non saperla usare. Tutto ciò va contro la certezza di molti che non ammettono dibattiti e possibilità di crescita nelle visioni, nelle tecniche espressive e nel loro utilizzo, che si fermano lì dove invece è l’inizio di qualcosa; l’esperienza è tutto, ma va creata, oh l’esperienza… va raccontata! Ma raccontare vuol dire avere fiducia dell’altro da sé, credere che possa comprendere; l’artista può soltanto raccontare di quello di cui fa esperienza e chiunque altro potrà comprenderlo appieno solo se ne avrà fatta a sua volta esperienza; sono esemplari le pagine della Recherche intrise di sensazioni ed esperienze: il lettore non può non avere, con stupore, pensieri simili a questi: «Questo passaggio… è proprio vero, Marcel è riuscito a dare voce a qualcosa che pensavo inesprimibile», oppure, «Non ho mai provato ad esprimere questa sensazione perché non pensavo che altri la provassero in questi termini» eccetera. Non siamo soli: l’artista, esprimendo in modo eccelso l’animo umano nella sua esperienza dell’esistenza (proprio come lo scienziato quando scopre e rivela le leggi del cosmo valide universalmente per tutti), ci collega, ci rende tutti umani, tutti uguali, il tuo dolore, la tua gioia, le tue sensazioni, avvengono allo stesso modo in tutti e da tempo, ecco perché l’arte è importante: perché ci collega, ci fa sentire in unità, un solo popolo unito in questo viaggio verso la terra promessa che è la terra sempre oltre, quella verso la quale la sete di rivelare il mistero ci spinge. È il piacere di scoprire!

Intelligenza e passione, sono necessarie alla vita, all’arte e all’artista ma, ahimè, come gli occhi possono offuscare, in una tempesta fotonica di immagini, altre sensazioni impercettibili derivanti da altri sensi, così, o prima o dopo, l’artista, se vuole percepire altre finezze dell’esistenza, deve chiudere gli occhi sul proprio mondo e aprirli su altri mondi, ciò è necessario per affrontare appieno il mistero dell’arte: con discrezione uscire da sé stessi e completarsi nello splendore di altri mondi che sono già stati esplorati-rivelati con altre tecniche e altre visioni: […] perché lo stile per lo scrittore, come il colore per il pittore, non è una questione di tecnica, ma di visione. E la rivelazione, che sarebbe impossibile attraverso mezzi diretti e coscienti della differenza qualitativa esistente nel modo in cui il mondo ci appare, differenza che, se non ci fosse l’arte resterebbe il segreto eterno di ciascuno. Solo attraverso l’arte possiamo uscire da noi, sapere cosa vede un altro di un universo che non è lo stesso nostro e i cui paesaggi rimarrebbero per noi non meno sconosciuti di quelli che possono esserci sulla luna. Grazie all’arte, anziché vedere un solo mondo, il nostro, lo vediamo moltiplicarsi, e quanti sono gli artisti originali, altrettanti mondi abbiamo a nostra disposizione, più diversi gli uni dagli altri di quelli che ruotano nell’infinito; mondi che mandano ancora fino a noi il loro raggio inconfondibile molti secoli dopo che s’è spento il fuoco – si chiamasse Rembrandt o Vermeer – da cui esso emanava.
Questo lavoro dell’artista – cercar di scorgere sotto la materia, sotto l’esperienza, sotto le parole, qualcosa di diverso – è esattamente l’inverso del lavoro che compiono incessantemente in noi, quando viviamo distolti da noi stessi, l’amor proprio, la passione, l’intelligenza, l’abitudine, ammassando sopra le nostre impressioni vere, per nascondercele completamente, le nomenclature, le finalità pratiche che chiamiamo erroneamente la vita. Insomma, quell’arte così complicata è precisamente la sola arte viva. Essa sola esprime per gli altri e fa vedere a noi stessi la nostra propria vita, la vita che non può essere “osservata”, le cui apparenze, una volta osservate, hanno bisogno d’essere tradotte e, spesso, lette alla rovescia e decifrate con fatica. È il lavoro fatto dal nostro amor proprio, dalla nostra passione, dal nostro spirito d’imitazione, dalla nostra intelligenza astratta, dalle nostre abitudini, quello che l’arte dovrà disfare; quello che l’arte ci farà compiere è il cammino in senso opposto, il ritorno alla profondità dove ciò che è realmente esistito è sepolto, a noi sconosciuto.

E poi, dopo avere carpito, nell’oltre, qualcosa di ancora indecifrato, ecco il necessario ritorno al recinto dell’intuizione generata dall’intelligenza e dal sentimento, che soli, questi ultimi, sanno tentare un dialogo con quel qualcosa di ignoto che aspiriamo inevitabilmente a comprendere: […] ciò che si è provato è come certi negativi in cui si vede solo del nero finché non li si mette contro una lampada, e che bisogna guardare, anch’essi, alla rovescia; non si sa cosa sia finché non lo si avvicina all’intelligenza. Solo allora, quando questa l’ha illuminato, quando l’ha intellettualizzato, si distingue – e con quanta fatica – la figura di ciò che si è sentito.

In conclusione, cari artisti-scrittori, questo vogliamo da voi, la potenza e la consolazione dell’arte: il tempo ritrovato della felicità, vogliamo percorrere strade nuove insieme a voi, strade talvolta nascoste nell’evidenza; saprete darci tutto questo, proprio come Marcel è riuscito nella sua necessità impellente e sentendo il fiato sul collo del giungere della propria ora, la chiamata al ritorno all’inesistenza?

Roberto Maggiani



Nota: i testi di Marcel Proust sono tratti da “Il tempo ritrovato”, I Meridiani Mondadori, traduzione di G. Raboni


Post credits: se poi scopriremo l’inesistenza dell’inesistenza, sbocciando di vita in vita, la vita di ciascuno di noi, allora riformuleremo l’idea di esistenza, di vita e della loro persistenza e con esse dovremo ripensare l’arte, in particolare l’arte della scrittura, e la sua stretta correlazione con la felicità, restiamo in attesa.