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Notizie » L’editore intervista l’autore: Raffaele Donnarumma

Intervista [Autore] 18/10/2022 12:00:00

🌱 In occasione della pubblicazione del romanzo di Raffaele Donnarumma, “La vita nascosta”, in libreria dal 21 ottobre 2022, abbiamo intervistato per voi l’autore, al suo esordio letterario.

🎤👇👀

:: Ciao Raffele, il romanzo “La vita nascosta” è il tuo esordio letterario, sei emozionato? Potresti presentarti brevemente ai nostri lettori?

🎤 Certo che sì. Poi ho tutti i miei riti per raffreddare l’emozione e far finta di nulla. Presentarmi… Beh, se uno fa un giro su Google trova diverse tracce del mio transito terreno. Una volta, ero il primo Donnarumma che appariva: ormai sono stato scalzato e retrocesso alle ultime posizioni da Gigio, il portiere. Oltre al danno, la beffa, visto che non capisco nulla di calcio. È stata una ferita narcisistica sanguinosa, ma siccome bisogna amare solo Dio e odiare solo sé stessi, sono felice che mi sia stata inferta.

:: Quali sono i tuoi autori di riferimento e le tue letture?

🎤 Tanti, ma tutti piuttosto classici ed evidenti, anche perché i nomi dei miei amori letterari compaiono spesso esplicitamente nel romanzo. C’è tutta una tradizione di moralistes francesi, cioè di scrittori che ragionano sulle nostre psicologie e sui nostri comportamenti sociali, che amo molto e che, idealmente, mi piacerebbe continuare. Prima di tutti, Pascal – lì, però, mi affascinano molto anche la sua negazione dell’io e il suo misticismo. Poi (e forse ormai non è più così ovvio) ci sono i grandi romanzieri di otto e novecento: Flaubert, in quanto demistificatore dei nostri desideri e delle nostre coscienze; il più geniale dei suoi eredi, Svevo; in modo più diffuso (credo si senta a ogni pagina), Proust, anche se un Proust irraggiungibile, la cui sintassi è diventata un po’ cubista e la cui teologia si è spenta nella disillusione. Del resto ho scritto la prima pagina della Vita nascosta (che non è la prima che il lettore incontra) proprio dopo aver riletto qualche pagina della Recherche, in un periodo in cui mi sembrava di affogare nel lavoro e avevo bisogno di respirare. Ho anche una grande ammirazione per Walter Siti, che pure in molte cose sento lontano; e infatti ci sono altri scrittori che mi hanno messo su una strada analoga alla sua, come Edmund White.

:: Vieni dal mondo accademico, Professore di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Pisa; hai scritto il romanzo “La vita nascosta”, benché ci siano diversi casi di successo di accademici che scrivono fiction, non è scontato che chi è impegnato nel lavoro critico sui testi letterari poi riesca a scrivere un romanzo, nel quale entrano in gioco piani espressivi differenti da quelli utilizzati per scrivere saggi o articoli di carattere critico: cosa ti ha spinto a tentare questa strada, qual è stata la scintilla e perché hai scelto il romanzo come modalità espressiva? Hai incontrato difficoltà nel percorso della scrittura di questo romanzo?

🎤 Nessuno può scrivere male quanto un professore di letteratura italiana prestato al romanzo; oddio, no: anche certi romanzieri-romanzieri, italiani pure loro, scrivono malissimo. Non mi vergogno di aver letto un discreto numero di libri, di averci pensato molto, di averne avuto la testa e la vita plasmata; e proprio perché per me la letteratura è un’esperienza decisiva, detesto come una fatuità insopportabile le pose iperletterarie a freddo. Ma è vero che giocare la carta della provenienza accademica è un rischio: io ho scelto di farlo spudoratamente – non solo perché non scrivo fingendo di essere più analfabeta di quanto sia, ma anche perché è un accademico R., il mio protagonista. E del resto, quando parlo di letteratura mi viene naturale essere un razionalista; se la letteratura la faccio, mi impegno invece in una lunga opera di corteggiamento dell’irrazionale.
Ho scritto un romanzo perché proprio non ne potevo fare a meno – quindi per un bisogno brutalmente, elementarmente esistenziale. Appena ho iniziato ho capito che non avrei avuto nessuno regola e che, anzi, avrei buttato all’aria alcuni imparaticci che avevo sulla scrittura narrativa: per esempio, che ci vogliono molti fatti e poca riflessione, che non bisogna abusare di similitudini, che ci vuole uno stile piano; e prima di tutto, che parlare di sé (o far finta di parlare di sé) è narcisista, volgare, un po’ da poveracci. (C’è una pagina molto divertente di Emanuele Trevi su quelli che se la pigliano con i cosiddetti scrittori ombelicali). Ho scritto di getto, quasi in trance, e ho finito la prima redazione in tre mesi. È stato un lavoro molto duro soprattutto emotivamente, ma (lo so che è strano) non è stato difficile. Una volta aperte le dighe, l’alluvione delle pagine ha dilagato da sé: non riuscivo a smettere, andavo a dormire alle tre di notte e quando mi svegliavo avevo subito in mente un episodio da aggiungere o una frase da cambiare. C’era qualcosa che era sedimentato in me per anni e che ora veniva alla luce, come quando basta un colpo di piccone in una parete per far apparire, dall’altra parte, un’intera stanza che era stata murata, piena di mobili e con ancora i quadri appesi. Ho sempre guardato con sufficienza e sospetto a tanti miti e tante chiacchiere sull’ispirazione; invece, ho dovuto riconoscere che l’ispirazione esiste eccome. Ho ricorretto dopo, ma senza cambiare le linee del racconto e con lo scrupolo e la cura di un pasticcere che sparge di zucchero a velo un dolce. Ovviamente, lo zucchero serve a coprire un retrogusto di mandorle amare. I libri che non ci avvelenano un po’ la vita non servono a nulla. Ho scritto un romanzo per guardare cose che preferirei non vedere.

:: Pensi di essere riuscito a definire una tua cifra stilistica?

🎤 Nella scrittura saggistica, quella cui ero abituato, ho cercato sempre controllo, sobrietà, chiarezza. Qui invece mi sono abbandonato, mi sono consentito lussi di pensiero, di stile e di immaginazione verbale che altrimenti mi vieterei. Ho giocato a volte su una certa non dico oscurità, ma implicitezza o elusività. Mi è venuto del tutto spontaneo prestare molto orecchio alla musica – delle frasi, del ritmo con cui far susseguire le scene, della struttura generale, delle idee. Credo che sì, ad apertura di libro si riconoscano subito una voce e i suoi toni.

:: “La vita nascosta”: perché questo titolo?

🎤 È un titolo doppio, o forse triplo. In un primo senso, banalmente, indica la vita nascosta di R. – la sua storia adulterina, le avventure sessuali di cui si vergogna, la sua relazione semiclandestina con L. In un secondo senso, del resto dichiarato, è la vita che sfugge e si nasconde a L. Mi piaceva che il lettore, davanti al titolo, si facesse un’idea che poi avrebbe dovuto sconfessare o correggere andando avanti nella storia. Infine, è una specie di professione di fede. Come diceva Forster in Aspetti del romanzo, «la funzione del romanziere è rivelare la vita nascosta alle sue origini». Il privilegio e quindi, per me, il compito della narrativa scritta rimane farci entrare nella testa degli altri: non avere l’arroganza di spiegarci com’è il mondo, ma farcelo vedere dagli occhi di qualcuno che lo vive (o che, in questo caso, ha paura di viverlo).

:: Arrivato alla soglia della mezza età, R., protagonista e narratore di questa storia, deve fare i conti con il fallimento di una lunga relazione, finché conosce L., un ragazzo ombroso, scostante, e se ne innamora. La mezza età è un periodo particolare della vita, in cui la china si percorre nella parte discendente, l’amore che non sia sguardo ma interiorità è ancora possibile? Nel tuo romanzo narri il fallimento e un nuovo inizio, cosa si perde e cosa si guadagna?

🎤 R. ha molta più paura di invecchiare di me; anche se ha tratti di immaturità che in questo lo tutelano. È vero che è segnato dai suoi fallimenti, come dai sensi di colpa e da una certa coazione a ripetere; ma c’è comunque in lui, per tornare a Proust, «l’éternel désir, l’éternel regret de la vie». R. è diviso tra tentazioni di autoannullamento e un residuo, pervicace istinto di sopravvivenza. Però il finale è fatto in modo che sia il lettore a decidere cosa perde e cosa guadagna (magari anche cosa può perdere e guadagnare proprio lui, il lettore).

:: Nella bandella del libro leggiamo: “È la storia delle nostre ansie, della nostra ansia di vivere”, ci spieghi in quale modo il tuo romanzo riesce ad esprimere le ansie particolari e collettive?

🎤 Per età e per inclinazioni, R. vive esperienze molto tipiche di un certo tipo di omosessuale. Però, quelle esperienze finiscono per essere le esperienze che tutti viviamo, indipendentemente dal genere o dall’orientamento, anche se l’omosessualità dà ad esse un colore più intenso – più patetico, o più nevrotico, o più ingenuo, o più irresponsabile: dipende. Credo poi che la sua storia attraversi molte cose che sono nella vita di tutti quanti, dal rapporto con internet alla depressione, dalle dipendenze all’ossessione per il corpo. Soprattutto, attraversa il nostro bisogno di conoscere gli altri e di farci cambiare da loro, e la nostra difficoltà di uscire da noi stessi.

:: In che modo i personaggi del romanzo ti somigliano o ti esprimono?

🎤 Ho attribuito a R. molti tratti miei; ma mentre scrivevo, conducevo questo strano esperimento che era fargli capitare o compiere cose che a me non sono capitate o che non ho fatto. Non sono stato abbandonato dal mio compagno come lui, ma giuro che sono stato malissimo per la sua disperazione. Proprio perché R. aveva una storia che non era la mia, ho cercato di farne una persona (dico proprio persona, non personaggio) distinta da me: più volte, per esempio, sostiene idee che non sono affatto le mie, o ha reazioni emotive che io non avrei. È stato tutto un gioco di identificazioni e disidentificazioni, proiezioni e prese di distanza, ma un gioco psicologicamente molto intenso e che mi ha messo alla prova; diciamo pure: che mi ha provato. Chiuso il libro, R. era un altro da me. Riesco a vedere altri personaggi, come Anna, S. o L.; ma se penso a lui, non so bene che aspetto abbia: so che mi somiglia, ma non ha la mia faccia e forse proprio non ha una faccia. Poi è successo… beh, è successo per colpa vostra, che dovessi leggere alcuni passi del romanzo per registrarli. E lì è accaduta una cosa che non mi aspettavo: all’improvviso, le distanze si sono annullate, R. mi ha completamente risucchiato e si è preso, con la mia voce, tutto me. Mi sono sentito gettato in un’esistenza molto più infelice della mia, ho dovuto interrompere la registrazione e spalancare la finestra per prendere aria. Le possessioni, evidentemente, esistono; per fortuna, durano poco.

:: A quali lettori è rivolto “La vita nascosta”? Cosa può convincere un lettore incerto a leggere il tuo romanzo?

🎤 A lettori che vogliono pensare, che vogliono essere presi in contropiede, che vogliono vedere cosa succede a uno quando perde le difese che si è costruito per rendere sopportabile la vita, che hanno la pazienza di tornare su una frase ma sono anche impazienti di sapere come va a finire, che vogliono entrare nella testa di qualcuno ma non si accontentano di restare lì dentro con lui. Se un lettore si aspetta una storia che è solo una storia, che è pura narrazione, allora lasci pure perdere; ma lasci perdere anche se si aspetta che io mi sia messo lì per fargli una lezione su qualcosa.

:: Domanda libera: hai qualcosa da aggiungere in relazione al tuo romanzo?

🎤 Sì: che ne scriverei un altro.

:: Grazie.

*

🌱👉 Il libro d’esordio di Raffaele Donnarumma sarà in libreria dal 21 ottobre 2022.

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