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Notizie » Tempo d’opera: un’estate di riconoscimenti

Comunicato stampa [Libri] 17/09/2023 18:00:00

L’estate 2023, per Tempo d’opera di Alberto Toni, è stata piena di riconoscimenti e attenzioni. Ci teniamo dunque a ringraziare tutti coloro che hanno dato risalto e attenzione all’opera di Alberto, un’attenzione che ha preso spunto dalla pubblicazione postuma di Tempo d’opera ma che si allarga su tutta la l’opera poetica e non solo che Alberto ha realizzato in vita.

Insieme alla famiglia di Alberto, esprimiamo riconoscenza e ringraziamo tutti.

Qui elenchiamo le attenzioni a cui abbiamo qui sopra accennato:

✨ Recensione di Annelisa Alleva, pubblicata sul blog di Roberto Deidier: leggi

✨ Recensione di Francesco Dalessandro su “I Limoni”, annuario della poesia in Italia nel 2022

✨ Recensione di Alessandro Moscè su “L’anello critico 2022”, annuario della poesia italiana contemporanea

✨ Recensione di Baldo Meo su “Poeti e Poesia” n.58

✨ Premio Forum Traiani 2023: secondo classificato nella sezione Poesia edita; leggi la motivazione

✨ Premio di poesia edita Paolo Prestigiacomo, X edizione 2023: Targa in memoria di Alberto Toni “poeta dell’estremo e continuo Tempo d’opera”.

✨ Premio Camaiore 2023: Menzione alla memoria ad Alberto Toni

Premio Camaiore-Belluomini 2023
Motivazione per Alberto Toni

La «trota sannita» del suo libro Il dolore (2016), così vicina all’«anguilla» montaliana o alla «lontra» di Seamus Heaney, quella trota che «scompare» e che però poi «rinasce di giorno in giorno», si muove non diversamente da come fa la parola di Alberto Toni. Una parola, quella del poeta scomparso nell’aprile del 2019, che forza e scavalca l’istmo biologico e biografico della morte e che torna a vivere, ferma e mai immobile, nei suoi libri di versi, e specialmente in quello suo più «estremo» e «conclusivo», per riutilizzare le parole di Roberto Deidier, il postumo Tempo d’opera (2022), lascito e simbolo di un rapporto con la poesia sempre giocato sul più avanzato e periglioso promontorio dell’interrogazione. Ricorda Deidier che Toni «non ha mai pubblicato una raccolta che rispecchiasse un presentimento, un’angoscia della fine», sebbene le sue condizioni fisiche lo ponessero quotidianamente, e costantemente, ogni ora, nella condizione di doversi confrontare – in modo certo più amplificato di quanto non avvenga in ciascuno – con il combinato disposto delle decretazioni sempre più ingiuntive della precarietà e del decesso. Dice sempre Deidier: «Il dolore, che pure doveva esserci, è rimasto filtrato dai versi si è celato dietro altre possibili significazioni, fino a quando, con una variazione più espressiva che tematica, non ha trovato una strada per emergere». Quella di Alberto Toni non è una poesia che possa accettare, né che abbia mai accolto, la scorciatoia cinica e consolatoria di un’autoreferenzialità esibita in motivetti dolenti e affranti. La poesia di Toni – e in questo sta la sua più alta lezione – è invece istituita su di un’interrogazione che ha recisamente in uggia i piccoli perimetri degli egotismi lacrimogeni e declamanti, e che invece si costituisce su di una ricerca portata avanti nel segno di quella «sapienza stilistica» che Maurizio Cucchi ha giustamente posto in evidenza nell’introdurre Non c’è corpo perfetto (2018). Dall’ouverture di Tempo d’opera – quei due versi incipitali che offrono la prima voce di questo libro già impostato e definito dall’autore – discende un’esemplificazione nitidissima di quella sapienza certamente non solo tecnica. Più in particolare, quei versi (non sono senz’altro i soli) mostrano e dimostrano come Toni lavorasse a rarefare il suo dettato, come scavandolo ossessivamente dall’interno, come a volerlo fare cavo, come a volerlo rendere portatore di una chiarità di suono tutta conficcata e tutta continuamente risospinta nel sempre caudale sussulto di una parola-trota guizzante e imprendibile, uccisa e danzante, muta e scatenata, salva e spacciata. Questi i primi due versi: «Voi che siete già, voi, gli smarriti al dubbio, / alla pioggia, alla neve, al sole timido di primavera» (sembra di rimontare al petrarchesco «Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono», a riprova di un senso della tradizione nutrito assiduamente e implicitamente convocato a dibattito con le riscritture del presente). Siamo innanzi a un’invocazione che si capovolge subitaneamente in una condizione di drammatica e arresa corposità esistenziale: gli «smarriti al dubbio» sono coloro che deambulano nell’abbandono a un’interrogazione complessiva e inevitabilmente incompleta, inconclusa e inconchiusa, perseguitata e morsa dalla terribilità abbacinante dell’umano, stretto a morsa nelle continue collisioni del fiorire e del disperare. «La nobiltà del verso di Alberto era l’adesione alla complessità della vita», ha scritto Arnaldo Colasanti, racchiudendo in un rigo una diagnosi critica pienamente attendibile. Una complessità insuperabile – si può aggiungere – non meno di quella in cui ognuno s’imbatte allorché chieda a sé stesso e al proprio pensarsi quale nome dare alla morte.

Teramo, 15 settembre 2023
Simone Gambacorta

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