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Notizie » L’editore intervista l’autrice: Maria Cefalà

Intervista [Libri] 21/05/2024 12:00:00

:: Ciao Maria, sta per uscire con noi il tuo libro d’esordio in versi “Canzoni per il mio utero”, potresti presentarti brevemente a quelli che ancora non ti conoscono?

🎤 Sono una pianista classica specializzata nell’interpretazione della musica di Bach e laureata in musicologia; ho insegnato pianoforte per molti anni, finché la carriera non ha iniziato a prendere piede. Ma più che tutto, al di là delle etichette di bachiana e pianista, sono una persona che ha sempre trovato nello studio e nella cultura un appiglio. Questo aspetto per me è la parte più importante da comunicare, quella che sottolineo con più forza nei miei lavori o dal vivo, perché le persone sappiano che l’arte può essere un appiglio anche per loro.


:: Tu sei una pianista, una studiosa di Bach. Ma ora vorremmo sapere, riguardo alle tue letture, quali sono gli autori o i titoli che ti hanno appassionata, che in qualche modo possono averti influenzato anche in relazione alla musica ma, soprattutto, in relazione alla scrittura di queste tue poesie

🎤 Ho letto voracemente fin dall’infanzia, compro una quantità di libri spaventosa ed è quindi molto difficile selezionare qualcosa in particolare; sono un’amante di Hesse e Durrenmatt. Il primo mi ha insegnato l’equilibrio, il secondo la sfacciataggine, tutte cose che in musica servono. Forse la passione per il linguaggio poetico è arrivata ancor più precocemente; da bambina divoravo le antologie in versi di mia madre, che era una maestra elementare. Hikmet, Pascoli, Darwish. Da adulta mi hanno incuriosita soprattutto le donne, Merini e Candiani su tutte. C’è una certa ferocia gentile in entrambe.


:: Cosa ti ha spinto a scrivere “Canzoni per il mio utero”? È un titolo forte, perché questo titolo?

🎤 “Canzoni per il mio utero” è il racconto in versi di un aborto volontario avvenuto un anno e mezzo fa. Scrivo abitualmente, e in quel periodo così doloroso la forma poetica era quella che mi veniva più naturale. Ci vuole troppo coraggio a raccontare un aborto in prosa, mentre la poesia è più delicata, allusiva. Se devi raccontare a te stessa verità scomode, è meglio scrivere versi.
L’ho fatto ed è stato catartico. Dopo l’aborto stavo male, avevo sentimenti contrastanti; finché non ho capito che quell’utero che era stato così maltrattato ora andava onorato. Le ferite si devono onorare, e facendo questo si impara ad onorare e perdonare anche sé stessi.


:: Il sottotitolo o, meglio, la continuazione del titolo è: “per Bach e per l’opposto al mio Zenit”. Iniziamo da Bach: chi è per te Bach, come entra in questa tua raccolta?

🎤 Bach qui è inteso come Padre, nell’accezione del Dio padre del cristianesimo. Io non sono cristiana, ma ho una spiritualità fortissima che ha come tramite, espressione e centro la musica di Bach.
Quando da bambina ho sentito la sua musica per la prima volta, mi è sembrato che fosse nota al mio orecchio da sempre, e non l’ho più abbandonata: ho riconosciuto subito qualcosa di familiare, chiaro, rassicurante, e al contempo di molto più grande di me. Ho trovato dentro quel contrappunto il senso del tutto, e da qui l’affinità col divino che sente chiunque approfondisca Bach.
Crescendo, ho trovato in questa musica delle regole etiche che mi hanno aiutata in tutto, indicando direzioni che mi spronavano a crescere e maturare. È stato molto importante per una persona nata in una famiglia disfunzionale, come è successo a me. Mio padre non era un riferimento sicuro, mia madre nemmeno. Ci voleva qualcosa d’altro, e Dio non mi convinceva.
Quindi, Bach è Padre, dà un senso, impone regole, accoglie, diventa religione. Ti salva: mi è accaduto una volta di più nel momento dell’aborto, nel libro è spiegato.


:: E adesso tocca all’“opposto al mio Zenit”, cosa intendi?

🎤 È una perifrasi a indicare il Nadir, che in navigazione è il punto della sfera celeste diametralmente opposto allo Zenit; Nadir è però anche un nome proprio molto diffuso nei paesi arabi. Ed è, per l’appunto, il nome dell’uomo del quale sono rimasta incinta, che poi ha scelto di sparire quando ha scoperto di questa gravidanza. Una persona dal passato complicato, che ha vissuto la guerra nel suo paese d’origine, la Libia. Siamo stati due opposti: il Nadir e lo Zenit, e questa sezione del libro è pregna di rabbia nei suoi confronti e di interrogativi sul concetto di responsabilità.


:: Racconti in versi una tua esperienza che ti ha fatto molto soffrire, perché la poesia come possibile strada di resurrezione? Non poteva essere la musica?

🎤 No, non poteva essere la musica perché in quel momento ero troppo debole per suonare, avevo perso troppo sangue, ero molto provata fisicamente. Avevo però bisogno di esprimermi, e la scrittura era l’unica strada che mi rimaneva per farlo. C’è un altro motivo: suonare è per me una forma di preghiera, e quando si prega non si fa con rabbia, non ci si rivolge al divino con il cuore colmo d’astio, verso altri o verso sé stessi. Non suono mai quando provo rabbia, per me è semplicemente un controsenso. Ho avuto bisogno di tempo per tornare a farlo con la pace necessaria.


:: Ci siamo trovati per caso a pubblicare il tuo libro in un momento in cui l’aborto è un tema al centro del dibattito pubblico: c’è uno schieramento, politico o sociale, in cui ti riconosci, o preferisci restare superpartes e mantenere il libro nella zona franca della tua esperienza personale?

🎤 L’espressione artistica è per me, sempre, anche una presa di posizione: Glenn Gould, un grande pianista, diceva che l’arte, se ben fatta, è etica, nel senso che deve avere in sé una coerenza e una dichiarazione d’intenti. In questo libro esprimo tutte le controversie riguardo al tema dell’aborto anche in senso politico e religioso, mi schiero, perché oggi è necessario schierarsi. Lo faccio senza edulcoranti: l’aborto è un diritto che va tutelato, ma è un atto violento, estremo, del quale bisogna essere ben consci.


:: Quanto tempo ci hai messo a scrivere questo libro? Ci racconti la sua genesi?

🎤 La stesura è avvenuta a pochi mesi dall’aborto ed è stata molto rapida. Avevo appena traslocato, benché fossi ancora debolissima, per allontanarmi il prima possibile da Nadir, che si era congedato in modo molto minaccioso; ero spaventata. Mi sono ritrovata sola in una casa nuova e, nella più tremenda delle tristezze, la sera scrivevo versi per sfogarmi. Dopo un paio di mesi di scrittura stavo meglio, ho riletto le poesie e mi sono resa conto che quello poteva essere un libro, che c’erano contenuti validi non solo per me stessa. E quindi che forse valeva la pena dare un senso più ampio a questo passaggio della mia vita, e provare a pubblicarli.


:: Ci parli dello stile che hai adottato nella scrittura? A quale tipo di lettori hai mirato nello scriverlo?

🎤 Queste poesie sono un autentico flusso di coscienza, non c’è stato dietro un pensiero chiaro sullo stile da adottare. Arrivavano immagini, sensazioni, e scrivevo per farle uscire. Avevo dolori in ogni punto del corpo, e scrivendo sentivo che si trasferivano sulla carta. Ho usato la scrittura come terapia per me stessa, senza mai pensare a un possibile uditorio. Mi sono resa conto solo in un secondo momento che potevano riguardare altri, che la mia singola esperienza potesse avere un’utilità. Ma scrivere è stato, in questo caso, un atto totalmente egoistico.


:: Che ruolo ha il giudizio in “Canzoni per il mio utero”?

🎤 In “Canzoni per il mio utero” l’elemento del giudizio è espresso chiaramente in due aspetti; in primo luogo, c’è un invito provocatorio a esprimere un giudizio nei miei confronti, nei confronti della donna abortente. Nel testo iniziale dico chiaramente: “Giudicatemi, chi è senza peccato scagli la prima pietra”. L’opinione degli altri non mi spaventa, mi sono giudicata molto, e quella è la forma di giudizio più severa da superare. Qui l’invito al giudizio spinge il lettore alla riflessione, ad un’onestà intellettuale che possa risvegliare qualche coscienza.
Il secondo aspetto è il giudizio nei confronti della persona che è scappata di fronte alla gravidanza: inizialmente, c’è una forte condanna nei confronti dell’uomo che non si sente responsabile quanto la donna, e fuggendo abbandona; minacciando, rivela una bestialità che è il vero orrore contenuto nel libro.
In ultima istanza, c’è un superamento del giudizio, perché la condanna non spetta a me: c’è una giustizia, divina o karmica, della quale ognuno di noi risponderà presto o tardi. Giudicare non mi interessa più, tendo alla pace intima. Oggi non ho rabbia.


:: Cosa può convincere un lettore incerto a leggerti?

🎤 L’avvicinarsi a un’esperienza sincera, viscerale, su un tema oggi centrale, quello dell’aborto, rispetto al quale molte persone si esprimono superficialmente e senza cognizione di causa. Attraverso l’esperienza dell’altro, se dotato di qualità empatiche, il lettore può farsi un’idea più accurata: il mio scopo è risvegliare domande; quindi, questo è un testo rivolto a chiunque abbia il coraggio del dubbio e non abbia paura di esplorare la sofferenza altrui.


:: Hai qualcosa da aggiungere?

🎤 L’arte è etica. Dobbiamo continuare a farlo presente in un mondo che sta smarrendo la direzione e sta relegando la cultura a un ruolo marginale. L’arte è una delle poche risposte alle brutture e allo smarrimento esistenziale, ciò che l’uomo ha prodotto di più alto. Non bisogna dimenticarlo.

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